Amarcord – Michele Alboreto: l’italiano divenuto leggenda

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Classe e passione. Sono forse i migliori aggettivi con cui si può descrivere ciò che è stato Michele Alboreto. Classe: quella caratteristica che ne ha fatto l’unico italiano a poter ambire seriamente al mondiale di F1, dopo i fasti  dell’immediato dopoguerra targati Farina e Ascari. Erano i favolosi anni ’80, quelli in cui Alboreto sulla Ferrari del grande Vecchio vinceva senza indugio, con una pulizia di guida unica (Jarno Trulli, ndr).

Passione. Non la pura competenza tecnica e spirito agonistico, ma voglia di trasmettere agli altri le proprie conoscenze. Aiutare i giovani, questo era Michele Alboreto, un pilota che al giorno d’oggi sicuramente sarebbe parte di una federazione Automobilistica (italiana o internazionale poco importa) che davvero avrebbe bisogno di un uomo tanto caparbio. Basti pensare alla Formula cadetta per eccellenza, la Formula Abarth che ha preso il posto della Formula Azzurra. La serie che mira a far compiere i primi km in monoposto ai giovanissimi porta ancora oggi il nome di “Trofeo Alboreto”.

Ma chi era davvero Michele Alboreto? Nato nel 1956 in quel di Milano, fa il suo esordio nelle corse a vent’anni in Formula Monza, per passare in breve alla Formula Fiat Abarth, in Formula Italia, nonchè in F3 Italia ed Europa. 1981, a cinque anni dall’esordio è in F2, quella degli anni d’oro, quella che contava davvero. Ma Michele è un pilota intelligente, e tiene sempre pronto un piano B. Prima ancora di debuttare in F1 è già pilota ufficiale Lancia nel Mondiale Endurance.

Nello stesso anno debutta nella massima Formula su una Tyrrell, ma il mezzo meccanico non lo porta lontano. Tuttavia basta attendere poco e già nell’anno seguente Alboreto trova la via del podio, vincendo a Las Vegas. Due anni dopo il grande vecchio di Maranello chiama il milanese al suo cospetto: inizia l’avventura in Ferrari, quella che rischierà di portarlo sul tetto del mondo. Nel 1985 infatti Prost riesce a spuntarla sull’italiano grazie ad un calo di prestazioni della Rossa nel finale di stagione, lasciando a Michele il secondo posto quale miglior risultato di sempre in F1. Da qui inizierà la crisi ventennale della Ferrari, che ritrova la via per il mondiale solo con Michael Schumacher.

Alboreto continuerà a correre in F1 con Arrows, Tyrrell e Scuderia Italia. Dopo la terribile stagione 1994, che già da San Marino dette di che pensare a molti veterani, che di lì a breve lasciarono la F1, Alboreto sbarca nel DTM, con l’Alfa vecchia conoscenza dell’endurance. Nel 1996 passerà all’IRL, ma in breve lascerà anche quella serie ormai troppo pericolosa. Michele ha famiglia, e si concentra quindi in poche corse per poter stare vicino alle figlie e alla moglie. Decide così di concentrarsi sull’endurance, e nel 1997 vince la 24 ore di Le Mans su Porsche. Nel 1999 l’approdo nel team Audi, ancora oggi impegnato nell’endurance.

Nel 2001 i risultati arrivano: Alboreto trionfa infatti con Laurent Aiello e Dindo Capello alla 12 ore di Sebring. Rotta quindi verso Le Mans. L’audi prenota il nuovissimo circuito del Lausitzring, per testare e sviluppare a porte chiuse il prototipo da schierare alla Sarthe. Il 25 aprile di dieci anni fa Alboreto sale in vettura. Per l’ultima volta. Una foratura a 300 kmh fa volare la vettura (un incubo nei prototipi di quegli anni), e Michele tra gli angeli. Così come De Angelis e Ascari, anche Alboreto trova la morte lontano dalle luci della ribalta, in uno stupido test. La notizia arriva in Italia in serata. I parenti sconvolti apprendono la notizia dalla TV, nell’intervallo di una partita del mercoledì sera. Quasi una mancanza di rispetto verso quell’uomo che aveva regalato emozioni e gioia agli italiani. L’italiano divenuto leggenda.

Marco Borgo

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