CART-La “White Paper” di Dan Gurney: L’alba della terza corona – Parte I

dun-gurney CART-La "White Paper" di Dan Gurney: L'alba della terza corona - Parte I

I due costruttori Roger Penske e Ueal Eugene “Pat” Patrick sono considerati i padri fondatori della Championship Auto Racing Teams, meglio conosciuta con l’acronimo di C.A.R.T. Il primo, titolare della scuderia che porta ancora oggi il suo nome, la “Penske Racing”, fu anche un pilota abbastanza quotato negli anni sessanta. Una storia proseguita e ricominciata sotto altre vesti, nel lontano 1965, quando venne costruito il team che per la prima volta partecipò alla 500 Miglia di Indianapolis soltanto a partire dal  1969. Quattordici successi da allora nella prestigiosa gara dell’Indiana, iniziando con Mark Donohue nel 1972. Sam Hornish jr nel 2006 ha firmato l’ultimo suo successo in volta su Marco Andretti, figlio del titolare della scuderia che porta il nome della famiglia che ha reso celebre il connubio motoristico Europa-USA. Marco e Michael, suo papà  appunto, degni continuatori di una dinastia intramontabile che annovera anche i non dimenticati da noi, John e Jeff. Un’ esperienza , per Penske, anche in Formula uno come costruttore tra il 1974 ed il 1976 che in pochi ricordano , ma di sicuro John Watson si. Pat Patrick. Il suo nome è invece legato alla gestione di un altro team glorioso nel panorama delle competizioni d’oltreoceano a ruote scoperte, vincitore di ben tre edizioni della 500 Miglia d’Indianapolis, nel 1973,1982 e 1989, l’ultima volta con Emerson Fittipaldi. Una fine ingloriosa dopo il 2000,  l’ultima stagione disputata ad alti livelli nel campionato CART con Roberto Moreno ed Adrian Fernandez. Dopo il ritiro di Unser jr , pilota con cui aveva gareggiato in IRL nel 2004, la scuderia chiuse i battenti ed irrimediabilmente venne venduta.

Tuttavia per comprendere la vera genesi della CART dobbiamo tornare indietro di trent’anni, 1978 per la precisione. L’anno in cui Daniel “Dan” Sexton Gurney, pietra miliare della Formula Uno negli anni Sessanta, scrisse di suo pugno la celeberrima “White Letter” , in cui invitava i costruttori delle scuderie dell’unico campionato americano allora esistente, a dare vita ad una nuova serie a ruote scoperte. La terza , la più importante nell’intera storia delle competizioni motoristiche; quella che si rivelerà essere il contrappeso al campionato “USAC”, una rivalità profonda; la serie che è scomparsa per sempre. Da pochi mesi, Febbraio 2008 per la precisione.

Gurney si sentiva frustrato dopo aver tentato varie volte di guadagnarsi il rispetto ed una nomea come costruttore, districandosi nel bel  mezzo del mondo , o meglio del mercato , del business dei motori. Aveva tentato più volte di essere una guida spirituale, e dopo aver  analizzato meticolosamente lo stato attuale delle cose , giunse a conclusioni drastiche. Si rese conto che i costruttori non rappresentavano più il vertice gerarchico di ciò a cui essi stessa davano vita, e che  il loro bene non valeva  in quanto priorità assoluta dell’unico campionato esistente. Inoltre essi non detenevano alcun controllo sulla sua direzione ed organizzazione a livello tecnico professionale . Furono questi  i motivi che portarono alla scissione con la serie ufficiale nazionale, lo United States Auto Club.

Il tutto inizia con una semplice lettera , documento primario ed essenziale, nel cui contenuto Gurney riversa tutti i suoi dubbi e le speranze per la nascita ed il futuro, a breve e a lungo termine, di una competizione creata “ex nihilo”.  Una nuova sfida da affrontare con lo sguardo fiero e fermo, quello  di chi sa essere carismatico ed autorevole di fronte alle difficoltà che la sorte avversa presenta, lo stesso di chi sa scrutare oltre l’orizzonte di una calma  piatta apparente . Un  campionato che si rivelerà avere , a dispetto delle previsioni timorose, un seguito radioso. E come tutti i grandi progetti al loro stato embrionale, anche questo non si sottraeva al problema del dover affrontare  le problematiche potenzialmente connesse al suo processo creativo.  All’epoca si presentava con un sostrato ancora dai contorni non delineati nettamente. Più ombre che luci,  alla cui base, però,  vi era un’ importante ed innovativa idea: l’espansione al di fuori dei confini statunitensi.

La CART voluta e desiderata da Gurney doveva essere una serie  altamente competitiva che si poneva a metà strada , nel modo di concepire competizioni agonistiche, tra le idee ormai radicate negli USA, e quelle precipuamente europee.

Non voleva togliere visibilità all’ USAC ,così come al contrario  accadde nell’immediato, né c’era la volontà di imporsi sulla Formula Uno, a dispetto di quanti credessero più che vivo ed ardente questo desiderio. Trovava in sé stessa la ragione del proprio essere, e questo ne rappresentava indubbiamente l’elemento portante dell’intero sistema. Si apriva alla possibilità paventata di includere ed accogliere scuderie europee, oltre che americane, questo si, ed aveva l’obiettivo dichiarato di calcare quanti più circuiti potesse dell’intero globo terrestre. Sotto questo punto di vista si possono scorgere delle affinità precise con la F1 e forse anche pericolose per la sua esistenza stessa: si trattava di dar vita ad un campionato internazionale che non avesse sede in Europa, cosi’ come invece era accaduto fin dall’alba delle competizioni motoristiche, ma in America. In sostanza mirava se non a sottrarre lo scettro di visibilità , almeno ad affiancarsi in quanto a fama, a quella che per molti ne rappresentava l’antagonista naturale, la F1 appunto; serie che  in fin dei conti ne poteva rappresentare l’antitesi sotto un punto di vista esclusivamente formale. Altra storiografia ha rinverdito, all’opposto, la tesi della sua incompatibilità con la AAA/USAC, e sicuramente se ne possono tranquillamente abbracciare molte delle motivazioni a fondo di tale supposta teoria. Non si può dire che fosse un minus o un maoior, né una evoluzione nè una depauperizzazione. Semplicemente un aliud. Un campionato di diversa concezione e nel suo sostrato equidistante tanto dall’USAC che dalla F1. Fissare due semplici punti varrà a esemplificare meglio questa sottile differenza. Libertà telaistica e motoristica, la cui stessa mancanza  la si rinfaccia alla F1 odierna. Espansione a livello mondiale, difetto cronico del primo vero campionato americano, chiuso in sé stesso, incapace e restio ad evolversi in qualcosa di diverso. Quello che appunto incarnerà la CART, la terza corona per eccellenza dei campionati automobilistici a ruote scoperte. Qualcosa che si è tradotto in realtà soltanto nell’arco del decennio degli anni Novanta, epoca in cui la Cart ha avuto una sua preponderanza come evento motoristico più importante negli USA, era in cui il campionato si era estesa al di fuori dei confini del Nord-America :  vasta gamma di nazionalità di piloti, di scuderie, di circuiti. Tutto questo ne ha fatto scorgere allo stesso tempo l’apice, ed anche l’inizio del declinio, e nel momento fondamentale sono venuti a mancare tanto due cardini portanti che una organizzazione cosi’ complessa poteva, anzi doveva irrimediabilmente richiedere a sè stessa : i soldi e l’abilità nella gestione direttiva. Un campionato che rappresentava forse la summa per determinare le capacità velocistiche e non solo quelle , di un pilota: la vasta tipologia di tracciati ivi presenti, faceva si’ che un pilota laureatosi campione a fine anno, potesse ritenersi a maggior ragione un competitore versatile, contendente a tutto tondo. I circuiti cittadini in particolare, ne erano l’elemento maggiormente particolare e valorizzatore di questo successo . Certamente non era estranea la concezione dell’includere alcuni “rings” in calendario, ed anzi la stessa AAA (da cui derivò l’USAC appunto) poteva contare fin dalle origini di tipologie diverse di tracciati: come veniva annoverata Indianapolis come apice del circuito ad anello, cosi’ l’appuntamento a NY City, la Vanderbilt Cup, rappresentava l’apoteosi del misto. Mutuata l’idea di utilizzare circuiti stradali permanenti dall’ Europa, si puntava anche su quelli che  fossero non permanenti (basti pensare che fino a pochi anni fa esisteva l’appuntamento di Monterrey, o quello ancora più importante di Portland), per non dimenticare i cittadini veri e propri, i circuiti misti metropolitani, costruiti in fretta e furia per l’occasione nel bel mezzo delle strade delle  metropoli. Il terreno naturale della Cart appunto. Dunque ora non esiste più un campionato “trasversale” o internazionale che possa frapporsi fra il vero campionato americano, AAA/USAC (ritenere la Cart un evento motoristico esclusivamente “americano” sarebbe commettere un errore alquanto grossolano), e quello che a molti per le stesse ragioni apparirebbe quello europeo, la F1 (mentre essa ha soltanto avuto in Europa la sua prima diramazione, ed ora appare quanto mai un campionato internazionale a tutti gli effetti).

CONTINUA

MN

Share this content:

Lascia un commento