Amo le corse e ne accetto le giornate amare. Il motorsport sa essere meraviglioso e allo stesso tempo spietato. Purtroppo questa frase è la sintesi perfetta del destino di Dan Wheldon. L’inglese, nonostante il palmarès di primissimo piano, era rimasto senza volante per la stagione in corso. Solo un accordo dell’ultima ora gli aveva permesso di partecipare alla Indy 500 con un team di secondo piano, agguantando una meravigliosa quanto inaspettata vittoria. Sulla scia di questo successo è stato ingaggiato per l’ultima ricca gara del campionato, la Las Vegas 300. Stavolta il “cruel sport” gli ha riservato l’altra faccia della medaglia. Due sole gare: una vittoria e la fine inesorabile. Per chi ama le corse la pericolosità è considerata uno dei fattori in campo. Temuto e rispettato. Nonostante i progressi prodigiosi nel campo della sicurezza attiva e passiva, nessuno all’accendersi della luce verde può garantire l’incolumità dei piloti. Questo concetto così crudo ma razionale devia dal suo senso reale quando si parla di corse su ovale. Il fattore di rischio in questo caso viene a raddoppiarsi, e, in caso di monoposto a decuplicarsi. In questi anni gli incidenti mortali sono stati spesso classificati come delle fatalità: un insieme di circostante negative non preventivabili a priori (uno su tutti l’incidente di Senna). Negli ovali analizzando -solo gli incidenti degli ultimi 10 anni- si nota subito la dinamica ricorrente: tamponamento, decollo, impatto con la rete e game over. Con le velocità di percorrenza in curva delle Indycar, prossime ai 330/360 all’ora, al minimo problema i piloti non hanno il tempo materiale di reazione, diventando biglie impazzite senza controllo. La serie Nascar, la serie professionistica con il maggior numero di morti della storia, non potendo/volendo cambiare la formula di gara su ovale ha reso, nel corso degli anni, le vetture dei veri e propri carri armati. Gli incidenti continuano ad esserci, numerosi, ma le conseguenze per i piloti sono molto meno drammatiche che in passato. Con le monoposto questo è impossibile. Già in partenza si conoscono i rischi nel correre (scusate il giro di parole), a tutta, in tondo e in tanti. I Brack, i Briscoe, i Franchitti, i Conway miracolati da carambole simili devono solo ringraziare il cielo. Bisognerebbe avere il coraggio di prendere la decisione di abolire le corse in monoposto sugli ovali, lasciando -al massimo -solo la storica Indianapolis, perché il mondo non ha bisogno di gladiatori bagnati dalle lacrime di coccodrillo.
Sarei curioso di conoscere la vostra opinione.
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