James Hunt, il pilota scavezzacollo

 

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James Hunt, nato James Simon Wallis Hunt a Belmont, Inghilterra, il 29 agosto 1947, rappresenta il tipico esempio del pilota di Formula Uno stile anni Settanta, veloce e determinato quand’era ora di mettersi il casco in testa e gettarsi in pista a trecento all’ora, ironico e scavezzacollo una volta sceso dalla propria vettura. Proveniente da una benestante famiglia d’Oltremanica, il giovane James sembra destinato a divenire un medico, se non fosse che, poco prima di compiere il diciottesimo anno di età, assiste casualmente ad una competizione motoristica in compagnia di un amico e ne resta immediatamente folgorato. A partire da questo momento James Hunt sa che diventerà un pilota e per raggiungere il suo obiettivo non esita a farsi le ossa in pista gareggiando prima in Formula Ford e poi nella locale Formula Tre.
L’Inghilterra è da sempre la patria dell’automobilismo sportivo, ancor più a cavallo degli anni Sessanta e Settanta, di conseguenza le occasioni per emergere non mancano di certo ad Hunt che si mette subito in mostra per la sua aggressività e la sua determinazione al punto da guadagnarsi l’azzeccato ma poco lusinghiero soprannome di Hunt The Shunt, traducibile in Hunt lo sfasciamacchine, per via dei numerosi danni che il coriaceo britannico provoca alle vetture a lui affidate finite distrutte in spettacolari incidenti.

Il suo debutto in Formula Uno avviene al Gran Premio di Monaco a Montecarlo del 1973 al volante di una March.
Alla sua prima stagione nel Circus l’allora ventiseienne pilota inglese si toglie anche qualche bella soddisfazione, tanto da concludere due volte sul podio, rispettivamente nei Gran Premi d’Olanda e degli Stati Uniti. Il 1974 non è un anno da ricordare per Hunt, il cui unico vero acuto arriva da una vittoria al BRDC International Trophy sulla pista di Silverstone, di fronte al suo pubblico, in una gara che però non è valida per il Campionato del Mondo. L’indomabile James si rifà nel 1975 in occasione del Gran Premio d’Olanda a Zandvoort dove coglie il suo primo successo in Formula Uno. Nel 1976 la svolta, a 29 anni Hunt si ritrova tra le mani la competitiva McLaren M23, l’arma giusta per andare all’assalto del titolo mondiale, anche se l’inglese deve prima superare l’ostacolo rappresentato da Niki Lauda e dalla sua temibile Ferrari. Il forte austriaco resta però vittima del terribile rogo del Nurburgring in seguito al quale riesce miracolosamente a sopravvivere sebbene profondamente segnato nel fisico oltreché nell’animo.
Hunt approfitta dell’assenza di Lauda, costretto a recuperare dall’incidente occorsogli sul circuito della Nordschleife, e si presenta all’appuntamento conclusivo, previsto in Giappone sul tracciato posto alle pendici del monte Fuji, con soli tre punti di svantaggio dall’austriaco della Ferrari.
La gara si disputa in condizioni incredibili, sotto una pioggia torrenziale che convince Lauda, probabilmente ancora sotto shock dopo il dramma sfiorato del Nurburgring, a rientrare ai box dopo pochi giri abbandonando ogni velleità nella lotta per l’iride. James Hunt, il biondo inglese che fuori dai circuiti ama indulgere nei piaceri della vita, coglie al volo questa opportunità e transita sotto la bandiera a scacchi in terza posizione andando così a conquistare il titolo mondiale con un solo punto di vantaggio sul rivale Lauda. Ha coronato il suo sogno, è campione del mondo.
Nel 1977 potrebbe ripetersi, ma nonostante tre vittorie, conquistate rispettivamente in Inghilterra, Stati Uniti e Giappone, si deve accontentare del quarto posto nel mondiale piloti. La McLaren del 1978 non sembra più quella dei due anni precedenti, lo stesso James Hunt si sente forse già appagato del titolo vinto per un soffio su Lauda nel 1976 e i risultati non arrivano. Per il talentuoso pilota britannico solo un podio, in Francia, sul gradino più basso, e numerosi ritiri. Alla fine del 1978 inevitabile la rottura con la McLaren. Nel 1979 Hunt passa alla Wolf, squadra con la quale dimostra di avere ormai imboccato una parabola discendente. Disputa sei Gran Premi e il suo miglior piazzamento è un ottavo posto in Sud Africa, davvero troppo poco per un campione del mondo di Formula Uno. Al termine del Gran Premio di Monaco a Montecarlo del 1979, sullo stesso circuito dove aveva debuttato al volante della March nel 1973, Hunt annuncia il suo immediato ritiro dalle corse. L’ex iridato ha perso ogni motivazione e ritiene sia arrivato il momento di appendere il casco al fatidico chiodo. Così è, anche se il suo futuro resta legato ai Gran Premi visto che intraprende una nuova avventura da commentatore per la televisione inglese. Attorno alla metà degli anni Ottanta sembra interessato ad un rientro da pilota in Formula Uno, sostiene un test al volante di una Williams, alla fine cambia idea e rinuncia. In seguito al suo ritiro dall’attività agonistica James Hunt ha incontrato problemi di alcolismo e di depressione, anche se negli ultimi anni è parso tornare in pace con sé stesso e con il resto del mondo. L’avventurosa vicenda esistenziale di James Hunt ha comunque avuto un triste epilogo il 15 giugno 1993 quando l’ex campione di Formula Uno, divenuto un affermato commentatore di Gran Premi, è stato trovato senza vita, stroncato da un infarto nella sua casa di Wimbledon. Aveva 45 anni e lasciava due figli. Uno di essi, Freddie, ha esordito nel mondo delle competizioni automobilistiche nel 2006, con l’intenzione di costruirsi una carriera sulle orme dell’illustre genitore. Il fratello di James, David Hunt, è stato anch’egli coinvolto nel mondo dei motori, si diceva infatti volesse riportare il nome Lotus in Formula Uno, operazione questa che non è tuttavia mai riuscito a portare a termine.

Con la scomparsa di James Hunt se ne è andato uno dei personaggi più carismatici e intriganti che la Formula Uno abbia mai avuto.
Un personaggio genuino, alla Steve McQueen per intenderci, il celebre attore-pilota che amava affermare Life is racing, everything else is just waiting, ovvero la vita è correre, tutto il resto è attesa. Il 29 agosto 2008 Hunt avrebbe compiuto 61 anni. Non sarebbe difficile immaginarlo ancora davanti ai microfoni della BBC, impegnato in una telecronaca di un Gran Premio, ovviamente a modo suo. Perchè James Hunt è un po’ il Jim Morrison della Formula Uno. Amante delle belle donne, dell’alcol e delle feste in discoteca, capace di presentarsi alle premiazioni in jeans e a piedi nudi anzichè in smoking, al di là delle apparenze e del suo esibito anticonformismo, Hunt era però un gran signore stando a sentire cosa dicevano di lui gente come Niki Lauda, Jody Scheckter e Ronnie Peterson, alcuni tra i suoi colleghi che gli erano più vicini. Hunt e Lauda, appunto. Due che all’inizio delle loro carriere avevano condiviso un appartamento a Londra e che si erano poi ritrovati in pista uno contro l’altro nel 1976. Cordiali fuori dai circuiti, fieri rivali nei week-end dei Gran Premi. Non era la prima volta e non sarebbe stata neanche l’ultima che due piloti si trovavano a misurarsi con emozioni così differenti. Una emozione da esternare nella vita di tutti i giorni, un’altra ben diversa riservata al momento concitato del confronto sportivo. James Hunt è stato anche colui che ha insistito per portare Gilles Villeneuve in Formula Uno dopo essere stato battuto proprio dal canadese volante in una gara di Formula Atlantic disputata nel 1976. Gilles l’aviatore arrivò in Formula Uno alla McLaren nel 1977 debuttando a Silverstone grazie anche alla “spinta” di Hunt, il campione in carica che l’anno prima aveva fatto saltare i nervi a Lauda privandolo di un titolo che l’austriaco pareva avere ipotecato. Il rapporto tra Villeneuve e la McLaren si concluse subito dopo Silverstone ’77, grazie all’intromissione della Ferrari che ingaggiò l’allora sconosciuto Gilles, rapidamente diventato il pilota-mito che tutti conosciamo.

Abile suonatore di pianoforte e sportivo dalle innumerevoli inclinazioni (praticava calcio, tennis e squash), James Hunt ha lasciato una eredità che è stata solo parzialmente raccolta da piloti viveur quali Eddie Irvine e David Coulthard, ma che sempre più difficilmente potrà essere fatta propria da altri prospects in futuro considerando quanto sono cambiati i paddock di Formula Uno rispetto all’epoca del biondo inglese.
Il pilota di Formula Uno del Nuovo Millennio è un atleta a tutti gli effetti, un atleta che non può (giustamente) concedersi particolari distrazioni dal suo lavoro. L’aveva già capito Ayrton Senna sul finire del secolo scorso, l’ha successivamente ribadito Michael Schumacher fino a che in Formula Uno non si è arrivati a comprendere che tutti, dal primo all’ultimo, sono tenuti a rispettare alcune regole per dimostrare di meritare il posto che occupano e che è ambito da molti altri (ricordiamo che la Formula Uno degli anni Settanta era aperta anche ai piloti privati mentre da diversi anni il Circus è un humus per pochi eletti). Così, nel 2007, c’è tra gli spettatori chi la prende male se Fernando Alonso e Felipe Massa, vedi il pre-podio del Gran Premio d’Europa al Nurburgring, si confrontano a muso duro nel dopo gara dimostrando di non essere dei robot ma degli esseri umani, pardon degli atleti che non si accontentano di arrivare secondi a costo di mettere a nudo di fronte alle telecamere di tutto il mondo i loro punti di vista, chiamiamole pure le loro emozioni, scaturite da un Gran Premio vissuto sul filo di lana.
E’ vero, ragazzi, la storia di James Hunt resterà, nel bene e nel male, irripetibile, ma suvvia, non disimpariamo ad emozionarci… fosse anche una piccola emozione come il bisticcio tra Alonso e Massa al Nurburgring!

Ermanno Frassoni

www.frassoni.com/angolo.htm

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2 commenti su “James Hunt, il pilota scavezzacollo”

  1. Sarei curioso di vedere questa foto curiosa! Cmq Hunt è stato un pilota scenografico, un mondiale vinto per fortuna e un po di arrogante. Diciamo un pilota da bagarre.
    Giorgio curiosissimi questi episodi!:)
    Valerio

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